PARTE I. Siamo talmente abituati al progresso tecnologico da restarne letteralmente sommersi, senza neanche poterci rendere conto della lunga strada che deve essere percorsa per giungere ai risultati dei quali ognuno di noi può beneficiare; eppure, dietro ogni innovazione esiste un’evoluzione articolata non sempre frutto del progresso tecnico o scientifico, ma molto più spesso strettamente connessa a esigenze sociologiche, militari e, talora, anche religiose. In altre parole, molto più spesso è stata la storia a tracciare la nostra evoluzione culturale e non il progresso in senso stretto.
Nel periodo compreso tra le civiltà degli egizi e quella dei romani, passando per la storia dell’antica Grecia, le costruzioni erano erette utilizzando elementi strutturali semplici come la trave e il pilastro, i carichi erano limitati alla sola compressione e trazione mentre esisteva un unico materiale da costruzione: la pietra. Ovvero, il materiale che meglio idealizzava gli scopi prefissi: economico, diffuso, resistente, affidabile anche se pesante. Allo stesso modo, le metodologie costruttive erano basate sostanzialmente sull’esperienza, più che sulla teoria, conducendo ad una condotta pragmatica, costosa e nel contempo affidabile. In sostanza, per millenni l’evoluzione in campo edile è stata condizionata da fattori economici piuttosto che statici, tanto che la scelta del materiale da costruzione era legata alla vicinanza delle cave d’estrazione con l’evidente ricerca di ottimizzazione del rapporto costi/benefici.
Durante l’impero romano furono realizzate opere impressionanti per il connubio tra perfezione costruttiva e bellezza architettonica, capaci nel contempo di svolgere in maniera davvero mirabile lo scopo, idraulico, militare, ludico o religioso, per il quale erano costruite. La tecnica edilizia raggiunse livelli mai visti prima in nessuna civiltà, precedente o contemporanea che fosse, grazie alla sublimazione dell’uso dell’arco e dei primi materiali artificiali da costruzione: il mattone ed il calcestruzzo (figura 1).
Figura 1. L’antico teatro di Amiternum, presso L’Aquila, fu realizzato gettando l’opus caementicium in casseri a perdere costituiti da mattoni pieni.
Probabilmente furono i fenici i primi a miscelare la calce con la sabbia vulcanica, diffondendone poi la cultura nell’intero Mediterraneo; ma, sicuramente, furono gli antichi romani a padroneggiare pienamente con tale materiale grazie alla scoperta delle proprietà idrauliche della pozzolana, una pietra vulcanica ampiamente diffusa nei pressi dell’Urbe.
Da un punto di vista chimico la pozzolana è costituita da silice [SiO2, semplificata in S] ed allumina [Al2O3, semplificata in A] mal cristallizzate ed amorfe; miscelata con la calce [CaO, semplificata in C] conduce alla formazione di silicati idrati di calcio [C-S-H] e di alluminati di calcio idrati [C-A-H], in funzione del legame con l’acqua [H2O, semplificata in H] tale da produrre una massa stabile nel tempo e del tutto impermeabile. Un risultato che sfugge ai moderni calcestruzzi basati sull’utilizzo del cemento Portland.
Grazie allo sviluppo di tale tecnologia gli antichi romani poterono realizzare la cupola del Pantheon, la fondazione del Colosseo (80 d.C.) - consistente in una piastra dello spessore di 7 metri - e il porto di Cosa presso Orbetello.
Figura 2. Sezione del Pantheon con schematizzazione delle azioni generate dalla cupola.
La cupola del Pantheon (figura 2) rappresenta la più straordinaria, e meglio conservata opera tramandataci dagli antichi romani, con un diametro di 43.44 metri ed un oculo centrale di 8.92 metri di diametro; una struttura geometricamente pura, derivata da una sfera inscritta in un cilindro con lo stesso diametro della cupola ed un’altezza pari al suo raggio: il finito e l’infinito messi insieme a rappresentare la maestosità di Augusto Ottaviano che lo volle nel 27 avanti Cristo. Ciò che però sorprende di più, e che non può essere visivamente apprezzato, è insito nella tecnologia adottata per la costruzione della cupola, con una sezione rastremata verso l’alto e l’utilizzo dell’opus caementicium composto da cemento pozzolanico con inerti alleggeriti procedendo dal basso verso l’alto: travertino, travertino e tufo, tufo e mattoni, mattoni spezzati, mattoni e tufo leggero, tufo leggero e infine scorie vulcaniche. In questo modo l’architetto Marco Vespasiano Agrippa riuscì realizzare un’enorme cupola senza la moderna adozione dei ferri di armatura disposti nella zona tesa, ovvero nella parte bassa tipicamente soggetta a sforzi circonferenziali di trazione.
Figura 3. Vista dal basso dell’oculo centrale del Pantheon dal quale, in alcuni periodi dell’anno, la luce filtra illuminando determinati vani satelliti che alleggeriscono le pareti circolari.
Fu vera gloria quella degli antichi romani anche in campo edile?
Sicuramente si e sicuramente non dovuta solamente alla fortuita presenza di pozzolana che rese possibile la costruzione di opere davvero mirabili. Molto del successo delle loro opere è dovuto a Vitruvio Pollonio che tra il 23 ed il 27 a.C. scrisse il De Architettura, un trattato suddiviso in dieci volumi nel quale stabilì anche le regole per il corretto confezionamento del calcestruzzo che prevedevano 1 parte di calce e 3 parti di pozzolana. In questo modo Vitruvio Pollonio riuscì ad ottenere un aumento della velocità di presa ed indurimento, un aumento della capacità di indurimento e il non indifferente vantaggio di sviluppare la presa e l’indurimento anche sott’acqua. Era nato il primo legante idraulico della storia e fu solo grazie a tale opera che in tutto l’impero potettero essere costruite opere destinate a sfidare i secoli, se non i millenni.
Con la caduta dell’impero romano, tradizionalmente fissata al 476 d.C. allorquando Odoacre depose l’ultimo imperatore Romolo Augusto, fu dispersa la concezione vitruviana del confezionamento del calcestruzzo, tanto che il De Architettura fu successivamente studiato solo nei suoi contenuti classici. Ed in questo modo fu dispersa, per i successivi 13 secoli, una metodologia costruttiva che avrebbe cambiato per sempre l’evoluzione tecnologica nell’edilizia e l’immagine della nostra società.
Senza la perdita della tecnologia basata sul calcestruzzo oggi potremmo beneficiare di una tecnica costruttiva antica di duemila anni e non di soli duecento anni, anche se la prima struttura in cemento armato risale alla fine del diciannovesimo secolo; ma, di rimando, non avremmo potuto beneficiare della successiva evoluzione delle strutture in muratura portante che dal romanico giunsero alla sublimazione strutturale con lo stile gotico.
Ma questa è tutta un’altra storia.
http://magazine.darioflaccovio.it/2011/12/01/dai-calcestruzzi-dellantica-roma-alla-moderna-geotecnica-prima-parte/